Food Stories: Coltello-katana. E Coquilles St. Jacques.

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Forse volevo vedere come tagliava la carne, sto’ coltello nuovo da chef, il migliore che avevo mai usato. Dato che volevo cucinare un po’ di pesce, non c’era alternativa sul banco in quel momento. E così mi sono affettato un dito. Quasi. La punta di quello di mezzo della mano sinistra, fino a meta’ unghia. Taglia bene come una katana, liscio e ‘smooth’. Elegante ed efficiente. Coltello da sballo. Non si sente niente. Quasi. Finche una voce dentro dice ,’ao, a-Giuva’, stai a togliere la punta di un dito.’ Allora si esce, ovvero io sono uscito, da dove sei in testa. Mi sono guardato giù al povero dito un po’ indignato. (Mi diceva ‘Ma, ma… che cazzo ho fatto io d’essere trattato così?’ A volte si esprimono anche le dita. ‘Magari tu di problemi ce l’hai, sei sempre in mezzo ad altri pensieri, ma mica devi prendertela con me. Stronzo.’ Aveva ragione.)    

Niente ospedale. Non le sopporto. E neanche i medici in generale, ancora di più quando sono vestiti come medici. Quasi peggio degli avvocati. A parte i radiologi. Che non sono, in genere, quasi mai medici-medici. Hanno troppo poco a che fare con il ‘affettuare’, affect, o operare nel senso di ‘fare’, sapere fare, non capire. Sono cose diverse. Alcool per disinfettare, benda stretta, sdraio qualche minuto finche il sangue torna in testa (solo un attimo.) Poi si finisce a preparare la cena (coquilles st. Jacques scottati e poi gratinati, pesce spada, salsina con Sake, polenta fritta, insalata.) Spero che non cade l’unghia, anche se già sento indietro da qualche parte distante una voce che dice ‘come sarebbe, che sensazione, senza unghie? Forse interessante…’ e l’unghie che risponde ‘Ao! Ma che stai a scherza? Vai a torturare qualcun’altra. Bastardo. Io ci tengo, e ci provo a restare….’

  Sti’ voci – ritmi – diversi. E i loro tempi. E i loro contesti. L’unghia, dito, cucinare (fare), dov’ero (spiegando un idea a qualcuno, probabilmente, in testa), l’odori, luogo, l’abitudini, le forme simile ma diverse del passato, il piacere del nuovo… estensione in mano – che coltello magnifico – e la sorpresa di un calcolo sbagliato nel presente, -anche se per certi versi c’e solo presente, ovvero non c’e un passato, come percepiamo o descriviamo noi, nel universo, – probabilmente il modo diverso in cui la maniglia e il peso del katana stava nel mano destra. (Fanculo. Mi sono quasi tolto la punta di un dito. Scemo.) Tutt’ altro che smooth, liscio. Se non riesce ad inibire quasi il tutto, riducendolo in qualcosa più piccolo e maneggevole…. evoluzione. Un po una noia e’. Pero ti puo risparmiare le dita.

E quella noia, quel attenzione alla narrativa, a un ritmo solo, che un po ci distingue, che ci ha fatto creare lo spazio per a sua volta crearla e isolarla, la narrativa a e di noi stessi. Nel presente. La lingua. Ma non e male quando attraverso quello spazio passano altre cose e altri ritmi di solito inibiti. Quando la sorpresa non e un coltello-katana da chef che attraversa un dito ma qualcos’altro, un contesto un po ingannevole e un ritmo indietro che segui e lo raggiungi ma mai del tutto – finche non del tutto. Che ti provoca letteralmente di muoverti, di spostarti, per raggiungere l’inganno. Un ballare senza altri scopi espressivi.

Non sono un gran fan dei ritmi latini in produzione pop. Pero di giocare, di prendere la narrativa per il culo, per quello che e’… rende il vivere tanto più bello. Oltre la lingua. E magari senza un coltello in mano.

Ma se ce l’hai, per le coquilles:

per persona, antipasto:

1 coquille St. Jacques fresco

pan grattato

prezzemolo tritato fresco

limone grattugiato fresco

olio d’oliva

sale

pepe

burro

1-2-3. Pulisci bene le capesante. Sale, pepe, una goccia d’olio in una padella, via dentro pochi secondi per lato, giusto per formare una crosticina. Togli subito.

Tosti il pangrattato in un’altra padella. Quando e pronto, togli pure quello e mischiarlo con il limone grattugiato e il prezzemolo fresco tritato. Ri-metti le capesante nella conchiglia, meta, poi una nocciolina di burro, e sopra il pangrattato insaporito. In un forno caldo (200 gradi circa) qualche minuto. E presti attenzione alle dita.

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